Sono grato di poter condividere questa celebrazione con il Prevosto, don Franco, e con tutti gli amici che hanno conosciuto, stimato, amato don Isidoro, don Lolo, perché certi di essere stati da lui amati.
E’ del resto evidente che un prete felice trasmette qualcosa dello stesso mistero di Dio e del suo amore per ciascuno.
Quando venne il giorno del suo funerale, fui impedito dal parteciparvi. Il mio ministero di parroco mi permise quel giorno, soltanto di pregare accanto alla sua bara, mescolato col silenzio e le lacrime di una immensa folla, che ci passava accanto e diceva la tragedia, il dolore, la preghiera e la speranza. Diceva tutto l’amore da lui ricevuto e tutta la dedizione della sua vita.
Come sono belli i passi di don Lolo, mossi dal Vangelo …La nostra presenza qui, questa sera, dice che il suo sacrificio non è stato vano, ma è ancora fecondo di bene.
Personalmente avevo cominciato a conoscere don Lolo, quando era in prima teologia come prefetto della sua classe, ed io in quarta. Si capiva già allora che c’era qualcosa che premeva dentro di lui e che sembrava voler esprimere.
Era discreto e vivace insieme. Puntava i suoi occhi sulla realtà , per trovare nelle varie circostanze che cosa il Signore volesse da lui. Quando lo intuiva, non esitava a dedicarsi completamente, senza riserve, per realizzare quel frammento di volontà di Dio che ogni momento porta con sé, e senza il quale il disegno non si realizza.
Andava diretto al sodo, non disperdeva tempo ed energie, ma era come se volesse imprimere in ogni scelta, piccola o grande, il sigillo della totalità. Le mezze misure, gli opportunismi, le superficialità, non corrispondevano alla misura della sua vita.
L’ho ritrovato alcuni anni dopo, immersi nello stesso tipo di ministero, il giornalismo, attraverso le testate cattoliche locali, ora non più esistenti, lui al Luce, io al Resegone di Lecco . Mi sembrava capace di intuizioni più veloci e umanamente sensibili, di quanto non mi riuscisse, dentro la complessità dei problemi, sia pure in territori diversi.
Coglievo che coltivava una linearità culturale e morale, capace di attirare e coinvolgere anche chi non la pensava come lui, facendo breccia nel cuore degli interlocutori.
Il servizio giornalistico stava dentro un orizzonte umanamente più ampio e non era che una componente del suo prezioso ministero sacerdotale.
Prima e più delle sue idee, aveva saputo mettere in gioco la sua vita e proprio questo generava un dinamismo contagioso nel bene, oltre le umane pigrizie.
Prima di quanto poteva suggerire il buon senso, veniva quanto scaturiva dal vangelo. Con lampi di luce, intense emozioni, forti determinazioni, attestava che la vita è per qualcosa –Qualcuno- più grande di noi.
“E’ il Signore!”: suggeriva col suo stile a chiunque lo avvicinava.
Così la vita si fa dono e storia di speranza.
Così la vita si fa breve, ma intensa per sempre.
Possiamo iscrivere la parabola del ministero del nostro prete felice, don Lolo, nello stesso servizio al vangelo dei santi Cirillo e Metodio.
Primato del vangelo, vita donata, testimonianza incarnata con i rischi che questo comporta: è proprio così che il vangelo si fa storia, allora come oggi.